Retail e sostenibilità, così le aziende la mettono in pratica nel mondo e in Italia
Retail e sostenibilità, un incontro inevitabile. L’attuale emergenza sanitaria impone al mondo di concentrare i propri sforzi per annientare la pandemia da coronavirus il prima possibile. Eppure, c’è un’altra sfida globale che deve rimanere prioritaria, perché potenzialmente in grado di minacciare la nostra esistenza molto più di un virus.
La sostenibilità delle nostre azioni non è più un optional, ma un’esigenza collettiva che deve concretizzarsi in un’economia intrinsecamente circolare. Se in passato la sostenibilità nel business richiedeva all’imprenditore di scaricare a valle costi aggiuntivi che i clienti non avrebbero sopportato nel prezzo finale, oggi lo scenario è mutato. Infatti, sono numerosi i report che attestano come in primis le nuove generazioni siano disposte a pagare di più i beni, per coniugare al meglio consumi e attenzione all’ambiente. Pertanto, esiste una domanda di sostenibilità che ora le aziende non possono più ignorare.
Ma c’è di più: alla luce della trasformazione digitale in essere da anni, i mercati sono diventati più orizzontali ed inclusivi, grazie ad un consumatore che adesso ha più potere di influenzare le decisioni altrui. Questo, di conseguenza, aumenta il rischio reputazionale per un’azienda che non mette in campo determinate condotte verso l’ambiente, o che non mantiene ciò che promette in questo senso.
Ecco perché la sostenibilità è un tema all’ordine del giorno anche nel retail, dove viene declinato in numerosi ambiti: logistica, packaging, riciclo, tracciabilità, dematerializzazione, resell/recommerce, store design, filiera corta, biologico e quant’altro. E il nuovo boom dell’e-commerce in questi mesi non ha fatto altro che rimarcare l’importanza della questione, dal momento in cui le maggiori consegne domestiche hanno un impatto ambientale non trascurabile, a causa della maggiore attività dei corrieri e della produzione/smaltimento di imballaggi.
Retail e sostenibilità, le scelte di Amazon, Ikea e Zalando
Così diverse imprese assumono un approccio sempre più ecologico, implementando iniziative in grado di ridurre o azzerare le emissioni nocive e lo sfruttamento delle risorse del pianeta, che finiscono col modificare gli stessi business model e sensibilizzare l’opinione pubblica.
Amazon, leader del retail online, proprio poche settimane fa ha lanciato il suo programma Climate Pledge Friendly in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, per semplificare la scoperta e l’acquisto dei prodotti più sostenibili in vendita sulla piattaforma. Più di 40.000 referenze contrassegnate da una specifica etichetta, che identificherà i prodotti dotati di una o più delle 19 diverse certificazioni di sostenibilità che aiutano a preservare l’ambiente, ad esempio riducendo l’impronta di carbonio nelle spedizioni. La selezione include merce di ogni genere: dal beauty al fashion, dai generi alimentari all’elettronica, dall’ufficio fino ai prodotti per la cura della casa e della persona.
Ikea fa un passo in più e vira sul second hand resell, che dunque non resterà confinato all’ambito delle sneakers – dove un report di StockX dichiara che la Generazione Z porterà questo mercato di reselling a valere 30 miliardi di dollari nel 2030 – ma diventerà realtà anche nel mondo dei mobili. Tra pochi giorni la multinazionale svedese permetterà ai propri clienti di ottenere un voucher da utilizzare sui prossimi acquisti, facendo preventivamente valutare online i loro mobili usati. Una volta riportati in negozio i mobili saranno ristrutturati e rivenduti ad un prezzo più basso, per offrire alla clientela un assortimento alternativo più economico e sostenibile. I buoni sconto non scadranno, per far sì che i consumatori acquistino solo quando è necessario, ma saranno inclusi nel programma di restituzione solo determinati articoli: armadi e cassettiere, tavoli, sedie e sgabelli non tappezzati.
Mentre Zalando porta avanti una strategia molto articolata per rendere la sua piattaforma di moda e lifestyle più sostenibile, intercettando consumatori sempre più attenti alla qualità e all’ambiente, con una forte propensione anche al riciclo e riuso di abiti. C’è quindi un assortimento sempre più green, dai capi d’abbigliamento ai cosmetici, ma ci sono in vendita anche prodotti usati. Inoltre c’è un programma specifico ribattezzato “do.More”, che è stato lanciato nel 2019 proprio per applicare i principi della circolarità e portare l’azienda ad avere un impatto netto positivo sia per le persone che per il pianeta. Ciò ha permesso già da un anno di rendere tutte le operazioni carbon neutral, così come tutte le consegne e i resi dei clienti, con imballaggi che riducono al minimo gli sprechi e che sono realizzati con materiali riciclati al 100%.
E proprio in merito al packaging ci sono brand che scommettono su materiali innovativi, in grado di impattare positivamente e trasversalmente la catena del valore. Nel beauty L’Oréal accelera sulla sostenibilità ambientale, e produrrà il primo flacone in plastica realizzato tramite il riciclo delle emissioni di Co2 industriale, grazie all’aiuto di Lanzatech e Total. In questo caso tre aziende di settori differenti uniscono le loro forze, per una partnership dall’alto valore socioeconomico. La neozelandese Lanzatech trasformerà l’anidride carbonica in etanolo, con un processo biologico esclusivo, mentre il colosso energetico francese Total convertirà l’etanolo in polietilene, che a sua volta sarà pronto per essere utilizzato in un contenitore totalmente green.
L’uso della blockchain per la sostenibilità nel retail
Anche la GDO riveste ovviamente un ruolo di primo piano nella transizione verso un’economia sostenibile, e Carrefour è tra le realtà più innovative in questo processo. Il colosso francese della distribuzione ha varato già nel 2018 un ampio programma denominato Act for Food, in cui l’azienda si impegna a promuovere il controllo delle filiere attraverso la tecnologia blockchain, maggiore accessibilità al biologico per tutti (a tal proposito, l’annuncio di qualche giorno fa dell’acquisto dell’insegna Bio c’ Bon sull’orlo del fallimento va in questa direzione) tutela dei piccoli produttori locali e valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche dei territori. Inoltre, ad ottobre, l’azienda ha annunciato di voler abbandonare i sacchetti in bioplastica per i propri reparti ortofrutta, in favore di sacchetti in carta e in cotone organico riutilizzabili. Infine, si è conclusa da poco un’altra iniziativa, con la quale Carrefour ha istituito un corner fatto solo di prodotti sostenibili, installato in un’area dedicata di tutti i suoi supermercati europei, in cui è stata esposta una selezione di referenze di 19 multinazionali più rispettose dell’ambiente.
Retail ed economia circolare: il progetto Green Pea
Ma alcuni retailer nascono già con una value proposition improntata ai principi dell’economia circolare, offrendo esclusivamente prodotti e servizi con un basso impatto sull’ambiente. È il caso di Green Pea, il nuovo brillante progetto targato Farinetti (Eataly), che verrà inaugurato a Torino l’8 dicembre. Si tratta del primo Green Retail Park dedicato al tema del Rispetto, per dare vita ad un nuovo modo di consumare, con al centro solo prodotti e servizi sostenibili. Un mix che spazia tra diversi settori, dal lifestyle all’home, passando dal fashion al beauty, per finire al food & relax. Tra gli aspetti più curiosi c’è anche il concept stesso dell’edificio, formato da 4 piani completamente smontabili, per un totale di 15.000 m2 costruiti seguendo la filosofia del second life, che prevede solo materiali riciclabili: acciaio, ferro e vetro. In più la struttura ospita oltre 2000 alberi e piante, pareti con vernici che depurano l’aria e soluzioni energetiche che impiegano fonti rinnovabili, tra cui particolari pavimenti piezoelettrici a tutti gli ingressi, in grado di recuperare l’energia cinetica dal calpestamento.
I format italiani
Altrettanto interessante è l’idea che ha originato il format di Negozio Leggero, un franchising italiano che ha mosso i primi passi già nel 2009, portando sul mercato i concetti di “spesa alla spina” e di una scelta di vita che punta all’azzeramento dei rifiuti e del mancato utilizzo della plastica. L’azienda – che ad oggi conta 16 punti vendita tra Italia, Francia e Svizzera – è stata la prima rete al mondo di negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi e con il vuoto a rendere. Attualmente a catalogo ci sono più di 1500 prodotti: alimentari, per l’igiene della casa e per la cura del corpo, tutti selezionati e formulati da un ente di ricerca preposto e venduti esclusivamente nei negozi e sull’e-commerce.
La sostenibilità nel retail è quindi una sfida in cui i consumatori sono dei rinnovati protagonisti, che grazie alle loro nuove consapevolezze sanno riconoscere il valore di un paradigma green a tutto tondo, tanto da spingere le aziende a fare la loro parte, in nome di quella CSR – acronimo inglese di responsabilità sociale di impresa – che troppo spesso è stata considerata come elemento a sé stante, mentre sarebbe dovuta essere uno dei driver principali della strategia complessiva.
Tuttavia, ancora oggi sussiste il rischio che questo slancio verso la sostenibilità nasconda una dinamica di marketing, in cui le aziende cavalcano l’onda di una moda, senza realmente modificare la propria vision e mission. Da questo punto di vista anche le istituzioni dovrebbero fare la differenza, alimentando la costruzione di un ecosistema sostenibile, tramite ingenti investimenti. Anche perché la green economy, oltre ad essere un’esigenza inderogabile, può costituire un grande traino per la ripresa post coronavirus, in grado di sostenere significativamente sia l’occupazione che i consumi.
Solo in questo modo si avrebbe un approccio in qualche misura olistico, che eviterebbe di cadere in un paradosso che nel 2017 fu descritto bene da Sergio Marchionne. L’ex amministratore delegato di FCA, a proposito dell’auto elettrica, disse che non sarebbe stata la soluzione per il futuro, in quanto la questione chiave è come viene prodotta l’energia per alimentarla: se essa continua ad essere prodotta per la maggior parte tramite combustibili fossili, ci saranno comunque emissioni nocive indirette, che al netto erodono il beneficio di una maggiore circolazione di tali veicoli.
fonte: EconomyUp
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