L’ottimismo contagioso del vero imprenditore. In ricordo di Vittorio Merloni
Ci mancava già da molti anni ma ora Vittorio Merloni ci ha definitivamente lasciato.
L’ ho incontrato per la prima volta quasi cinquant’anni fa, quando era ancora agli inizi della sua attività imprenditoriale ed io cercavo di capire i fermenti della nuova industria italiana. Ricordo ancora i sentimenti contrastanti con cui ritornai da quel primo incontro.
L’ ottimismo quasi contagioso di Vittorio che esponeva i suoi progetti per il futuro sembrava non avere nessuna possibilità di prendere corpo nella realtà di una piccola città dell’entroterra marchigiano che male si congiungeva col resto del mondo e che non mostrava ancora alcun segno della fermentazione industriale che già stava penetrando in tutta la pianura padana.
Dieci anni fa, prima che la malattia lo allontanasse da noi e dai suoi cari, ricordava con il suo abituale sorriso, come egli fosse stato l’ultimo tra i produttori europei di elettrodomestici ad entrare nel mercato e come avesse poi assistito alla scomparsa di giganti che lo avevano guardato dall’alto in basso, fino ad inserirsi tra i tre più grandi produttori dell’intero continente. Un cammino compiuto mantenendo fede al messaggio che avevo ricevuto nel primo colloquio, cioè uno sforzo di innovazione continuo (quasi paradossale per le iniziali dimensioni dell’impresa) e una fedeltà al suo territorio come l’eredità più preziosa ricevuta dal padre Aristide che, emigrato in Piemonte, aveva scelto di portare la sua modesta attività imprenditoriale nel luogo dove era nato e cresciuto.
Vittorio ha mantenuto fede per tutta la vita a questo duplice obiettivo: misurarsi con successo con i migliori del mondo e rimanere legato alla sua terra d’origine, costruendo uno stabilimento in ogni valle vicina e attraendo a Fabriano sempre nuove risorse tecniche ed imprenditoriali.
Era partito con una piccola impresa ma non ha mai pensato che il piccolo è bello di per se stesso ma che diventa bello solo se è capace di crescere. A differenza di molti suoi colleghi Vittorio ha perciò fatto uso di tutti gli strumenti necessario per crescere bene.
Il primo di questi strumenti è un’attenzione quasi ossessiva per il prodotto. Mentre spiegava i dettagli di una nuova lavatrice gli si illuminavano gli occhi. Negli anni iniziali costituiva una spinta anche il senso di frustrazione nel constatare la distanza di qualità che ancora lo separava dai tedeschi ma poi, via via, non riusciva a nascondere la soddisfazione nel vedere che questa distanza diminuiva fino ad annullarsi per effetto di uno sforzo continuo di ricerca e innovazione. Uno sforzo che si dirigeva da un lato nell’affiancare alla meccanica le nuove tecnologie elettroniche e, dall’altro, in continui investimenti nell’automazione degli impianti.
Il secondo strumento di successo è stato la capacità di attrarre manager e tecnici di altissima qualità, nella consapevolezza (non sempre presente nelle imprese familiari italiane) che l’impresa non prospera mai con una guida solitaria ma si fonda su un gioco di squadra. A questo si aggiungeva uno sguardo rivolto al mondo, pronto a coglierne ogni evoluzione, con una curiosità che non mancava mai di stupirmi. Da questa curiosità è nata l’attenta scelta della localizzazione dei nuovi impianti produttivi, una scelta che avveniva non solo dopo accurate analisi sul posto e riflessioni sull’economia e sulla politica del paese in questione ma dopo aver attentamente misurato le proprie forze in relazione a quelle dei concorrenti. Da questo è nata una strategia di crescita continua ma equilibrata e, in un certo senso, prudente. Anche perché, dopo aver girato da una parte all’altra del mondo, le decisioni le prendeva sempre guardando fuori dalla finestra dei suoi uffici di Fabriano. Proprio per queste così particolari combinazioni lo avevo scherzosamente battezzato con un “marchigiano globale”.
Sarebbe riduttivo rinchiudere la storia di Vittorio Merloni dentro le mura di un’impresa. Assieme a suo fratello Francesco ha sempre aggiunto alla vita dell’azienda un interesse ai problemi della società italiana, misurandosi con successo nel difficile compito di presiedere la Confindustria, portando avanti non solo il compito della modernizzazione del sistema produttivo ma sottolineando il contributo che gli imprenditori dovevano offrire per migliorare le nostre risorse umane e il funzionamento dell’apparato pubblico. Nel suo discorso di insediamento alla presidenza della Confindustria del maggio del 1980 metteva già in chiaro, con un accento fortemente innovativo, che “con questa fabbrica, con questa scuola e con questo stato” la macchina della crescita italiana si sarebbe definitivamente arrestata. Ed è proprio quello che è avvenuto in seguito.
Di tutto questo dobbiamo essere grati a Vittorio Merloni ma, mentre ricordiamo quello che ha fatto, non possiamo dimenticare che ha fatto tutto sempre sorridendo, con una simpatia e una comprensione dei problemi altrui che non mancava nemmeno nei momenti più difficili nei quali gli è toccato di operare. Per queste ragioni la sua scomparsa è stata accompagnata da una vera e propria ondata di affetto e di rimpianto.
Perché le grandi cose che Vittorio ha fatto le ha fatte non solo col cervello, con la tecnologia o con il potere ma le ha fatte soprattutto con il cuore. Per questo motivo i suoi operai hanno voluto che prima del funerale Vittorio potesse sostare nella fabbrica dove essi lo potranno salutare l’ultima volta.
fonte: Il Sole 24 Ore
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