Il lockdown dell’autotrasporto: i viaggi calano, i committenti non pagano
TRE GRAZIE PROVENIENTI… DALL’ALTO
La prima è stata, a metà marzo, la ministra delle Infrastrutture e i Trasporti, Paola De Micheli, con un video messaggio di ringraziamento ai camionisti e agli operatori della logistica, per l’«impegno» e la «dedizione» senza i quali «il Paese si fermerebbe completamente, le persone non potrebbero avere i beni di prima necessità, non potremmo rifornire gli ospedali».
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per farlo ha aspettato di presentare il decreto del lockdown, accomunando gli autotrasportatori a medici e infermieri: «Compiono un atto di amore per l’Italia».
Ma il top è stato mercoledì 18 marzo, quando Papa Francesco in persona, nella sua preghiera speciale per coloro che con il loro lavoro garantiscono il funzionamento della società in questo difficile momento, ha elencato (anche) gli operatori dei trasporti.
Un bel riconoscimento per le imprese di autotrasporto che, escluse dal lockdown del 23 marzo per garantire la distribuzione delle merci essenziali, da una parte rischiano il contagio dei propri autisti (spesso titolari dell’azienda artigiana) per i contatti interpersonali a cui sono costretti dal mestiere, dall’altra rischiano la chiusura per la riduzione del fatturato, i ritorni a vuoto, i crediti insoluti.
I RITORNI A VUOTO
Se la chiusura del 48% delle attività produttive (fonte Confindustria) dava per scontato un calo parallelo del trasporto merci, lo squilibrio tra le produzioni bloccate (per lo più le industrie del Nord) e quelle consentite perché indispensabili (prevalentemente l’agroalimentare del Sud) fa sì che i camion partano dal Mezzogiorno carichi di merce, ma poi non abbiano prodotti da portare indietro.
«Le nostre aziende specializzate nel trasporto di alimentari freschi», protesta Thomas Baumgartner, «oltre al forte calo del fatturato, subiscono enormi costi per lo sbilanciamento dei flussi di traffico, i percorsi a vuoto, i lunghi tempi di attesa presso gli stabilimenti aziendali e le frontiere».
Quello dei ritorni a vuoto è una piaga anche i tempi normali, figuriamoci con il coronavirus. La nota congiunturale di Confetra per il 2019 indica in 79 giorni il tempo medio per l’incasso.
«Siamo l’unico settore del trasporto – constata Claudio Villa, presidente di Federtrasporti – in cui esiste una tariffa di andata diversa da quella di rientro. In particolare nel cassonato, la quotazione di un viaggio diventa inferiore laddove lo si considera un viaggio di rientro. Il problema è che la debolezza contrattuale dell’autotrasportatore fa sì che la tariffa di rientro, malgrado non si basi su parametri oggettivi (di fatto è strappata dal committente che approfitta di una situazione), diventi il riferimento generale per valutare ogni tariffa. Ecco perché è urgente per il settore la pubblicazione dei costi indicativi di riferimento».
I CREDITI INSOLUTI
Ma quello che assume i contorni di una beffa sono i crediti insoluti, elegante espressione finanziaria per dire che il cliente non paga. A fine marzo, ha denunciato Paolo Uggè, molti committenti hanno inviato alle imprese di autotrasporto lettere che «preannunciano lo slittamento degli stessi anche di 12 mesi», mentre il segretario generale di Trasportounito, Maurizio Longo, stima in 1,5 miliardi di euro i crediti insoluti, facendo risalire il problema a prima dell’inizio dell’emergenza. E questo, nonostante l’appello di Confindustria a rispettare gli impegni presi nei pagamenti prima dell’emergenza, salvo «gravi e comprovate difficoltà».
Una situazione nella quale sono in molti a ventilare rischi di chiusura delle imprese. Massimo Bagnoli, presidente di Fiap, vede nero («Esitare ulteriormente su questi punti porterà in maniera irrevocabile alla chiusura di migliaia di imprese») e torna a chiedere l’indeducibilità fiscale delle fatture come deterrente contro i mancati pagamenti.
«Ci stanno consigliando – ha spiegato – di prendere soldi a prestito. Sono contento che la Banca centrale europea possa concederli allo 0,50%, ma se dobbiamo richiedere prestiti per pagare le nostre fatture, forse sarebbe meglio che questi prestiti li prendessero i committenti per pagarci».
Sull’argomento è intervenuta anche la deputata PD Debora Serracchiani, con un’interrogazione formata anche dalla senatrice Tatjana Rojc, per chiedere alla ministra De Micheli di inserire nel decreto da varare ad aprile la norma «sui termini di pagamento già prevista per il settore agroalimentare con sanzione certa e autorità di controllo chiaramente individuata», che fissa in 30 giorni i termini di pagamento per i prodotti deperibili e 60 per quelli non deperibili, ma soprattutto stabilisce che essi decorrono dall’ultimo giorno del mese di riferimento della fattura, data oltre la quale scattano interessi di mora ed eventuali sanzioni molto pesanti.
LA SOVRAPPRODUZIONE NORMATIVA
UN GROVIGLIO DI NORME, UNA VALANGA DI CARTA
Difficile raccapezzarsi nel groviglio di norme emanate dallo Stato per far fronte all’emergenza coronavirus. Il quotidiano online formiche.net ha fatto il conto. All’8 aprile, sulla materia il governo ha emanato 19 provvedimenti: 10 DPCM, 6 decreti legge, 2 delibere del Consiglio di ministri e un protocollo. I singoli ministeri hanno emanato 162 fra decreti e ordinanze, 57 dei quali il solo ministero della Salute. Nel solo mese di marzo Regioni e Provincie autonome hanno prodotto 339 ordinanze. Per i Comuni un conto preciso è impossibile, ma Alfonso Celotto, che ha curato la ricerca, ne stima 40 mila.
Escluse queste ultime, tuttavia, le varie amministrazioni statali hanno emanato 520 atti, ai quali vanno aggiunti quelli della Protezione civile che ha emanato 48 ordinanze o decreti del capo Dipartimento e due del Commissario straordinario, tutte «spiegate» da un testo unico di 263 pagine. D’altra parte la bozza del decreto legge recante disposizioni urgenti per il sostegno alla liquidità delle imprese e all’esportazione emanato il 4 aprile era lungo 100 pagine in 37.157 parole.
LE CURVE DELLA DIFFICOLTÀ PROVOCATE DA LOCKDOWN
I NUMERI DI UN DISASTRO
Il primo riscontro si è avuto sulla strada. Uno studio del consorzio Cosat su 300 imprese aderenti ha registrato che in 15 giorni – da prima a dopo il lockdown – il traffico merci in autostrada è calato del 20% nella prima settimana e del 30% nella seconda. Dato confermato, fuori delle autostrade, dalle rilevazioni dell’Anas che ha registrato una diminuzione del traffico merci a febbraio del 24% e a marzo del 25% (ma il traffico di autovetture è crollato del 55%), trascinando nel crollo anche le immatricolazioni di veicoli commerciali al di sopra delle 3,5 tonnellate (che a marzo hanno ceduto il 40,5 % rispetto allo stesso mese del 2019) e l’indice del clima fiducia delle imprese elaborato dall’ISTAT, precipitato da 97,8 di febbraio a 81,7 (base 2010=100).
In fatturato vuol dire un crollo stimato tra il 60% e il 70% (Thomas Baumgartner, presidente di Anita, con punte del 90% (Paolo Uggè, vice presidente di Fai-Conftrasporto)).
«Con la chiusura dei cantieri e delle attività produttive – spiega Uggè – anche l’operatività delle imprese di autotrasporto si è drasticamente ridotta, e la percentuale di perdita stimata due settimane fa (a metà marzo, ndr) dal Cerved nel 30% è praticamente raddoppiata nel giro di soli 14 giorni».
LA LIQUIDITÀ E I PEDAGGI
Certo le richieste e le proposte delle associazioni per sostenere il settore in questa fase drammatica sono numerose, ma – gira gira – tornano sempre su un unico tema: la liquidità delle imprese. Unatras l’ha posta alla base di una lettera inviata a fine marzo alla ministra De Micheli per proporre le modalità di attuazione: l’«utilizzazione certa e più ampia possibile del Fondo centrale di garanzia PMI», l’introduzione anche per l’autotrasporto della norma sui termini di pagamento nell’agroalimentare; lo «smobilizzo e pronta erogazione di tutte le risorse» gestite dal ministero a favore della categoria. Richieste alle quali ha aggiunto l’attuazione anche in Italia «della deroga temporanea ai tempi di guida e di riposo, come già fatto da 22 Paesi europei» e la «previsione di corridoi blu agli imbarchi per le imprese che viaggiano da e verso le isole maggiori».
E Fai-Conftrasporto con una lettera aperta al governo l’ha chiesta esplicitamente, aggiungendola a una serie di moratorie fiscali e contributive specifiche per il settore (per esempio il rimborso integrale delle accise per il secondo e il terzo trimestre dell’anno) da aggiungere a quelle già varate erga omnes. Richieste di maggiore liquidità, più o meno analoghe sono state avanzate da tutte le altre associazioni del settore: da Assologistica a Confetra, da Fedespedi ad Alis.
È largamente condivisa, per esempio, la richiesta di intervenire sui pedaggi, che nel mare di sospensioni e di rinvii sono rimasti gli stessi. Unatras in un drammatico appello alla «sopravvivenza» ricorda che «il costo dei pedaggi autostradali, rappresenta la terza maggior voce dei costi di gestione di una impresa di autotrasporto, dopo personale e carburante» e chiede che «i concessionari autostradali aiutino i loro migliori clienti a superare questo estremo momento di emergenza sanitaria», mentre per Anita, lo stesso Baumgartner ha chiesto di garantire lo sconto massimo dei pedaggi autostradali già accordato, contestualmente all’esonero totale del pagamento per i mesi di aprile e maggio.
ARRIVA IL DECRETO
L’incontro in teleconferenza con la ministra, martedì 7 aprile, tuttavia, ha rinviato tutta la parte economica al decreto Liquidità, mentre per la questione dei tempi di guida e di riposo c’è stato uno stop, probabilmente dovuto all’indisponibilità dei sindacati a concedere il proprio assenso alla deroga. Il «decreto Aprile» – varato l’8 del mese – nel suo elenco di provvidenze e aiuti, tuttavia, si è limitato per il settore a far riaprire i magazzini anche delle imprese bloccate, per evitare l’intasamento dei porti all’arrivo dei container attesi dal Far East per le prossime settimane. Per il resto, a parte le inevitabili proroghe delle sospensioni di contributi e versamenti, il capitolo più rilevante è quello dedicato al Fondo per piccole e medie imprese che garantisce tre livelli di garanzia del 100% (non superiore al 25% dei ricavi) per prestiti fino a 25 mila euro («In questo caso le banche potranno erogare i prestiti senza attendere il via libera del Fondo»); un’altra del 100% (ma per il 10% garantita da Confidi) fino a un massimo di 800 mila euro; del 90% fino a 5 milioni.
Ulteriori garanzie per 200 miliardi (di cui 30 per le PMI) sono affidate fino a fine anno alla SACE a copertura dei finanziamenti bancari concessi alle grandi imprese e alle imprese piccole e medie che abbiano esaurito la propria capacità di accesso al Fondo. La copertura prevista è del 90% per imprese con meno di 5 mila dipendenti in Italia e fatturato fino a 1,5 miliardi; dell’80% oltre questi livelli e fino a 5 miliardi di fatturato, del 70% sopra i 5 miliardi.
FARE PRESTO
L’entità dell’intervento ha messo tutti d’accordo. «Le cifre sono poderose», ha commentato il presidente di Confetra, Guido Nicolini. «750 miliardi di euro equivalgono alla metà del PIL italiano, per dare un ordine di grandezza». E Uggè parla di «muscolatura economica». Quel che desta perplessità se non preoccupazione sono i passaggi burocratici.
«Un prestito bancario anche di pochi milioni – ha spiegato Nicolini – ingenera una istruttoria che può durare anche due o tre mesi. Al sistema produttivo italiano le risorse servono, invece, entro le prossime due tre settimane, altrimenti si rischia una ecatombe economico sociale».
Più critico (e più sintetico) Uggè: «Bisogna fornire risorse a fondo perduto per le micro aziende, alzare al 100% le garanzie e spostare al 2021 la sospensione dei contributi e dell’Iva». Entrambi, poi, usano quasi le stesse parole Nicoli: «Il fattore tempo è tutto». Uggè: «Fate presto».
In Svizzera e in Germania non solo lo hanno capito, ma lo mettono in pratica. A un imprenditore elvetico basta riempire un modulo di una pagina per ottenere nel giro di poche ore un prestito pari al 10% del fatturato 2019 a interessi zero fino a 500 mila euro, da restituire entro cinque anni. Più dei tempi di guida o di riposo, più che i tempi di pagamento, quello che fa la differenza sono i tempi della burocrazia.
fonte: Uomini e Trasporti
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