Il manager-coach: come formare le competenze

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Buongiorno, siamo lieti di condividere con Voi una sintesi dell'intervento della Dott.ssa Vecchione, a nostro avviso fonte di importanti riflessioni professionali e personali.
La dott.ssa Vecchione apre il suo ‘speech’ prendendo come spunto la sfida, lanciata in chiusura del suo intervento dal Prof. Costa, relativa a quanto i giovani, “queste nuove persone antropologicamente diverse”, abbiano bisogno di noi oggi e di come sia più utile gestirli dal punto di vista manageriale e delle risorse umane.
Oggi, infatti, i giovani hanno bisogni molto diversi dai nostri, i nostri bisogni di ieri erano legati alla sopravvivenza, oggi gli stessi bisogni si sono spostati sul fronte dell’autorealizzazione.
“Non può più funzionare una relazione basata sul controllo, sull’istruzione, sulla colpa e sull’errore.”
Il coaching è una risposta a questi bisogni, perché ha a che fare con l’evoluzione della coscienza delle persone. Non è possibile sviluppare proattività, flessibilità e tutto ciò che oggi le aziende richiedono e che rientra nelle competenze trasversali con i tradizionali metodi formativi. È possibile fare questo, creando uno spazio per la persona, costruendo insieme a lei una relazione attraverso lo strumento del coaching.
Il manager, oggi, ottiene di più concentrandosi sul “come”, ossia attraverso il proprio modo di gestire la relazione, piuttosto che orientandosi esclusivamente al “cosa”, ossia al contenuto e alle informazioni.
Ciò che serve è un nuovo paradigma manageriale, “passare dal paradigma dell’errore al paradigma del feedback, dal controllo all’impegno, dalla paura alla fiducia”.
Inserire il coaching in azienda significa: “Impattare sulle persone, per impattare il business”.
In quest’ottica risulta particolarmente importante sviluppare le competenze del manager-coach, tra le quali troviamo:
-la costruzione della relazione, che parte dal presupposto che l’esperto è il “tu”, l’altro, il focus come manager-coach è la persona, e attraverso questa relazione la si accompagna al potenziamento delle sue risorse;
-l’ascolto attivo, facilitante nella costruzione della fiducia e in grado di esprimere accettazione ed interesse autentico per la persona;
-le domande da porre all’altro, per accompagnare la persona ad esplorare la propria realtà in modo nuovo, a scoprirne diverse sfumature, a coglierne le sfide e le opportunità;
-il feedback, che non è correttivo “il coach non vuole aggiustare le persone”, è un feedback che accompagna e sostiene le persone nella propria crescita e sviluppo e che le aiuta a riconoscere qualcosa di sé in modo diverso.
Le competenze del manager-coach si possono sviluppare attraverso specifici training, ma non solo, è utile che ci sia un percorso di allenamento costruito ad-hoc che integri la formazione in aula, con lo ‘shadow-coaching’ (pratica di osservazione on-the-job con restituzione di feedback), il coaching individuale ed il team coaching.
È bene anche sottolineare che il manager non può essere sempre coach; il suo ruolo, infatti, è anche quello di orientare l’azione del collaboratore gestendo aspetti legati all’operatività che tengano conto del rapporto funzionale ed organizzativo presente nel contesto aziendale. Per questo, in alcuni casi, è opportuno l’intervento di coach professionisti esterni che, rimanendo neutrali rispetto al contesto, possono meglio rispondere all’esigenza di lavorare su aspetti che vedono coinvolte le relazioni e la comunicazione tra gli attori aziendali.
In conclusione, il coaching è uno strumento potente perché “quando controllo non scopro cose nuove, quando domando ed ascolto arrivano cose sorprendenti che permettono di trovare un punto di incontro che vada bene per me e per l’altro”; questo nuovo paradigma permette di ottenere un elevato livello di coinvolgimento nei collaboratori.

Fonte: 300 Grammi

 

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